La città di Palermo, grazie all’esperienza maturata con la Biennale Nomade Europea Manifesta 12, nel 2018 ha avviato un percorso significativo: la necessità di reperire spazi per un grande evento diffuso ha portato all’apertura e al riuso di palazzi storici di grande valore architettonico, oggi oggetto di restauro. In quell’occasione furono individuati anche spazi naturali e urbani utilizzati temporaneamente per l’evento internazionale, tenutosi dal 16 giugno al 4 novembre del 2018.
Manifesta 12 ha rappresentato per la città un’opportunità di confronto a livello globale, una verifica diretta delle nuove istanze della produzione artistica contemporanea e, al tempo stesso, una visibilità inedita per giovani artisti italiani, liberi da logiche di appartenenza e attivi nei luoghi del centro storico. Questi artisti hanno affrontato le sfide dell’arte contemporanea con una visione multiculturale e globale, mettendo in discussione il concetto stesso di “città ideale” e richiamandosi a una memoria storica fatta di stratificazioni culturali europee e mediterranee. Tra le molte proposte presentate a Manifesta 12, si ricorda - per affinità al progetto editoriale Glances over Palermo - l’intervento e performance “processionale per la città” con base presso il Teatro Garibaldi, accompagnata dalla fanzine in bianco e nero Viva Menilicchi, edita dal gruppo Fare Ala e ideata da (Giovanni Cattabriga) Wu Ming 2 in collaborazione con la Wu Ming Foundation e testi bilingue in italiano e inglese.
Il gruppo palermitano Fare Ala è attivo da anni nella produzione di fanzine su tematiche sociali e politiche. Il progetto editoriale, incentrato sulla figura di Menelik, affrontava - attraverso testi e fotografie - il tema della guerra coloniale in Africa voluta dal governo di Francesco Crispi che culminò nella disfatta di Adua del 1896. Una sconfitta che alimentò negli anni il desiderio di rivalsa, sfociato nella conquista dell’Etiopia sotto il regime fascista. La storia coloniale ha lasciato a Palermo numerose testimonianze: titolazioni di strade, monumenti e simboli che celebrano personaggi e luoghi del colonialismo.
Oggi, con uno sguardo consapevole sul passato, non possiamo che provare vergogna per quel periodo storico e per il male inflitto alle popolazioni native. La memoria di queste vicende si intreccia con il ricco patrimonio culturale di Palermo, città che nei secoli ha accolto culture e popoli diversi: Greci, Cartaginesi, Romani, Vandali, Ostrogoti, Arabi, Normanni, Svevi, Francesi, Aragonesi-Spagnoli, Austriaci.
Questo crocevia di influenze è ancora leggibile nell’architettura - spesso seminascosta e abbandonata - del centro storico, racchiuso nei quattro mandamenti: Tribunali, Palazzo Reale, Monte di Pietà e Castellamare, conosciuti con i nomi popolari di Albergheria, Kalsa, Capo e Loggia.
Un centro urbano articolato attorno alle vie Maqueda e Cassaro, il cui fulcro è rappresentato dai Quattro Canti. Durante la dominazione spagnola nei primi anni del Seicento, questa struttura fu trasformata e nel tempo rielaborata secondo teorie geometriche, architettoniche e modelli culturali eterogenei, generando un complesso intreccio sociale e spaziale.
Oggi, Palermo - vissuta e interpretata dai giovani artisti - ha necessità di una configurazione e ridefinizione ufficiale degli spazi pubblici abbandonati: luoghi che rigenerati possano diventare contenitori fruibili e accessibili, in grado di accogliere nuove proposte creative finalizzate alla crescita sociale, culturale e tecnologica della collettività giovanile.
— Calogero Enzo Barba —